Padre Juan, un grande chierese eroico missionario salesiano
Lettera dell’Ispettore Don Giovanni Cantini ai Salesiani per l’articolo su Padre Giovanni Bertolone

Moriva il 7 maggio 1976, a 44 anni, nel paese di Conesa in Argentina. Era parroco della parrocchia di San Lorenzo, provincia di Rio Negro nella Patagonia, dove Don Bosco nel 1875 aveva mandato i suoi primi missionari, capitanati dall’intrepido Don Giovanni Cagliero, che fu poi il primo vescovo e primo cardinale salesiano.

Di Don Bertolone hanno scritto che “fu senza dubbio un uomo eccezionale; la sua fede arrivò fin dove ordinariamente non arriva la nostra”. Le manifestazioni della sua carità molte volte poterono stupire e sconcertare. Il vescovo Mons. Aleman scrisse di lui che “la sua fiducia nella Provvidenza arrivava a scandalizzarci, sconfinando tant’oltre la nostra prudenza”.

Entrando in quella parrocchia, subito si rese conto che quella povera gente non avrebbe potuto dargli nulla. Rimaneva a lui soltanto l’opzione del dare, dare quello che non possedeva. Aprì subito la casa parrocchiale, carente anche delle più comuni comodità. A tutte le necessità dei poveri, della gente senza lavoro e senza tetto, di quelli venuti da lontano, attirati dai lavori stagionali dei raccolti della campagna. Con molti di loro condivise la casa e gli alimenti. Nella sua casa parrocchiale passarono centinaia e centinaia di persone che da lui ricevettero tutto quello che egli poteva dare, fino a rinunciare al suo letto e a dormire su una sedia, cosa molto frequente, o al suolo come fu visto fare tante volte. Il suo fu un amore ai poveri senza misura e una carità pastorale senza frontiera. Pochi mesi dopo la sua entrata in Conesa, organizzò il Focolare dei piccoli poveri. Chiese aiuti, e li ricevette anche senza chiederli. E fece distribuzioni. Non era molto quello che poteva offrire a quei piccoli, i quali così stavano meglio che nelle loro case. Ad essi trasmise soprattutto, quasi per contagio, il suo spirito di pietà, che essi in certa maniera davano a dividere con un atteggiamento di semplice gioia nella preghiera, nei canti e nella partecipazione alle celebrazioni dell’Eucarestia.

Alla morte di don Giovanni, i “piccoli” del Focolare erano più di cinquanta. Egli però avrebbe voluto abbracciare tutte le opere di misericordia e tutte le età, compresi gli anziani. Non era ancora contento di quanto aveva potuto fare.

ANSIA APOSTOLICA

Don Giovanni Bertolone era nato a Chieri, alla Mangolina, cascina Malvirà, il 19 maggio 1931. Fece le elementari a San Filippo e poi al San Luigi. Nel 1942 “sereno e contento” entrò nel seminario diocesano torinese di Giaveno. A Torino, dove la famiglia si era trasferita, venne in contatto con l’Opera salesiana. La frequenza sua e dei familiari all’oratorio salesiano Michele Rua gli fece apprezzare Don Bosco, i giovani, le missioni. Così entrò nel noviziato di Monte Oliveto presso Pinerolo dove nel 1950 “gioioso e contento” fece la professione religiosa. Fece gli studi filosofici, poi quelli teologici coronandoli con l’ordinazione sacerdotale a Bollengo presso Ivrea nel 1960. Quindi poté coronare il suo sogno partendo lo stesso anno per le missioni. Confidando pienamente nella Divina Provvidenza, prima che nella parrocchia di Conesa lavorò indefessantemente in Patagones e nei villaggi all’intorno. Un pregevole lavoro esercitò pure nello Studentato filosofico di Viedma, come assistente e professore.

Nel 1964 potè donarsi ad un più diretto apostolato missionario attraverso le montagne andine del Nequen, privilegiando la gioventù povera e abbandonata, e in seguito alle attività pastorali a Comodoro Rivadavia nel Chubut. I poveri furono “la sua delizia” sempre sino alla fine. Il suo più doloroso distacco fu quello di abbandonare queste attività missionarie, costretto dall’obbedienza a recarsi a Bahia Blanca a prendersi cura della sua salute, che declinava e preoccupava i suoi Superiori. Uno svenimento obbligò i medici a intervenire d’urgenza. E scoprirono allora che si trattava di un tumore al cervello. Ma non potè più recuperare la conoscenza. Le sue esequie furono un trionfo della fede, della carità, del sacerdozio. Il suo accompagnamento funebre fu una vera marcia della fede di un popolo che si univa in preghiera per esprimere la sua gratitudine e ammirazione per questo degno figlio di Don Bosco, che aveva predicato il Vangelo con la sua vita.

ECCESSIVA CARITA’?

Si poté forse pensare: eccessi di carità ed eccessi di povertà. La sua fu una povertà radicata nella sequela di Cristo, e nell’ansia di salvare i poveri. Una povertà che era frutto di un grande amore, che si accompagnava a una vita interiore di fede e ad una grande pietà sacerdotale. Una pietà che egli espresse anche nella preoccupazione di costruire la nuova chiesa parrocchiale. Tra i suoi eccessi occorre anche sottolineare quello di prodigare i beni della sua salute: una salute che egli consumò in mille eroiche maniere, come uno scarso nutrimento e un insufficiente e scomodo dormire, e un continuo donarsi agli altri: fino al limite delle sue forze, fino a non poterne più! Queste furono le singolarità pastorali. La figura di don Bertolone si staglia come quella di un “fuori serie”, di un “carismatico” nel senso realistico della parola; come quella di un profeta. La sensibilità allo Spirito e la sua profonda preghiera davano significato evangelico alle sue molteplici attività. Tutti percepivano che egli non cercava se stesso, che il suo interesse era di alleviare il dolore dei suoi fratelli e di far riscoprire in essi la dignità dei figli di Dio. (dalla lettera dell’Ispettore don Giovanni Cantini ai salesiani. Traduzione e adattamento di Giovanni Marocco).